Salinas 18 Giugno 2023
Mese pieno di avvenimenti quello appena trascorso, pieno di incontri, pieno di confronti, purtroppo pieno anche di tanto dolore, però anche pieno di tanti amici che ci sono stati vicini.
Come molti già sapranno il 7 di giugno è venuto a mancare il papà di Emanuele, tutto è successo in pochissime ore, neanche il tempo di mettere in fila qualche pensiero. Arriva un messaggio: Il papà si è sentito male, lo abbiamo portato al pronto soccorso, non hanno riscontrato nulla, siamo già a casa. Ci si mette anche il fuso orario a modo suo a complicare le cose, il messaggio non lo vedi subito, appena prendi coscienza della notizia chiami: La situazione non è chiara, si sta cercando di capire come e cosa fare, ci sentiamo appena possibile. Passa un po’ di tempo, ore? minuti? chi lo sa, le cose si stanno susseguendo così in fretta, il cervello frulla pensieri, emozioni, sentimenti, perdi la realtà di quello che ti circonda, arriva una nuova telefonata: Il papà ha avuto un’altra crisi, abbiamo chiamato il 118, stiamo tentando di rianimarlo, ma sembra ci siano poche speranze. Quattordicimila chilometri di distanza ti separano, non si puoi fare nulla, puoi solo aspettare, cerchi di galleggiare nel mare in tempesta, cercando di fare qualcosa, attendendo di capire dove questa tempesta ti farà approdare; poi arriva la telefonata che aspetti, e che non vorresti mai arrivasse: Papà non ce l’ha fatta, non è più con noi. In poche ore il tuo piccolo mondo si trova sotto sopra, la tua barchetta si è rovesciata nel mare in tempesta e tu sei finito sott’acqua e non capisci se stai nuotando per tirar fuori la testa, o per affondare ancora di più. Nulla sarà più come prima, ma la vita continua, deve andare avanti, come sempre ci hanno raccomandato i nostri genitori, tutti siamo di passaggio in questo mondo, dobbiamo fare del nostro meglio perché dopo il nostro passaggio il mondo sia, perlomeno per un granellino di sabbia, migliore di quando abbiamo iniziato a calpestarlo. Il 5 giugno sono arrivati in Ecuador Don Gianfranco, il direttore del Centro Missionario di Treviso e la Cooperatrice Pastorale Michelin Lucia. Il 7 avevamo previsto di andare a Quito per rientrare a Salinas il giorno successivo con loro e passare assieme poco meno di una settimana, facendo conoscere la realtà in cui viviamo e operiamo: la Famiglia Salesiana, la Missione Salesiana, le altre due Parroquie che la compongono (Simiatug e Facundo Vela). Inoltre era programmato un incontro con il Vescovo di Guaranda, con la presenza di tutti gli attori che compongono questa compagnia, per parlare del come, con quali modalità, con quali forme dare nuovo sviluppo, come rendere maggiormente partecipe in questa nostra presenza anche la Diocesi che ci ha inviato e vedere se sia possibile ampliare la presenza di volontari per tempi più o meno lunghi, cosí da dare continuità al lavoro che stiamo portando avanti. Cosí ci siamo confrontati con i fratelli di Emanuele in Italia e abbiamo deciso, nonostante il peso che questo comportava, di fermarci e dare continuità a tutto questo. Probabilmente è stata una decisione che non tutti avranno condiviso o approvato, peró per noi, guardando alla nostra storia e agli insegnamenti che i nostri genitori ci hanno lasciato in eredità, é sembrato il giusto modo per dire a papá Ferdinando che questi insegnamenti li abbiamo compresi. Veniamo ora a quello che ha caratterizzato questo mese, sicuramente per noi la cosa più importante è stata la visita di Don Gianfranco e Lucia, era una visita programmata e attesa da tempo, non solamente da noi, ma anche dalla Missione Salesiana, e in particolar modo da Padre Antonio. Per noi era importante far conoscere dove stiamo operando e cosa stiamo facendo in questi anni di permanenza in Ecuador. Inoltre per comprendere come poter essere utili in forma incisiva e propositiva in quel dialogo e/o scambio tra paese/comunità/diocesi dove ti trovi ad operare e comunità/diocesi che ti ha inviato. Non è una questione da poco… noi sentiamo, ve lo abbiamo più volte scritto, che non siamo qui per noi, o solamente per noi, siamo qui anche per conto e a nome di altri, del Gruppone, e della diocesi che ci ha inviato come “Fidei Donum” alla diocesi di Guaranda. È fondamentale che il collegamento sia a doppio binario, uno che va e uno che torna, non esiste un binario unidirezionale, non può esistere o meglio non può sopravvivere una relazione unidirezionale perché prima o poi diventa un ramo secco, la linfa che vi scorre dentro termina e nessuna delle due parti ha più la forza di continuare. Questo concetto qui noi lo percepiamo forte, forse perché siamo nella stazione debole, o per lo meno sembra, e/o viene considerata la stazione debole, mentre nella stazione forte c’è il pensiero a volte l’arroganza di non sentire il bisogno di questa relazione. I “malcapitati” Don Gianfranco e Lucia, dopo i primi due giorni a Quito dove hanno incontrato Don Giuliano, Padre Graziano e Daniela Andrisano, visitando le loro realtà, sono finiti dentro il nostro “frullatore di attivitá”, dove in pochi giorni hanno avuto un incontro con la Missione Salesiana (l’unione delle tre parrocchie, Simiatug, Facundo Vela e Salinas), un incontro con le suore Salesiane di Simiatug (nel cui convento si svolgerà la parte principale dell’esperienza delle due ragazze che con il percorso fatto in unione tra Centro Missionario e la Pastorale Giovanile della Diocesi si sono preparate per un mese di condivisione tra luglio e agosto in terra di missione), un incontro con il nostro attuale Vescovo di Guaranda, una visita alla Parrocchia di Facundo Vela, la prima comunione qui in Salinas, la celebrazione della messa nella comunità di Yacubiana e, giusto per non farsi mancare un po’ di attività fisica, una bella passeggiata al Chimborazo raggiungendo i 5100 metri, facendo un po’ di fatica ma con grande soddisfazione finale. Sono stati giorni intensi, per chi conosce un po’ dove viviamo si rende conto che oltre agli incontri, anche gli spostamenti tra le varie località comporta uno sforzo fisico non indifferente, senza tener conto che essere catapultati dalla pianura padana ai 3600 metri di Salinas e/o ai 4200 e oltre delle sue comunità alte, per poi scendere come su un otto volante ai 2000 delle comunità basse per poi risalire in quota in poche ore… speriamo non ci maledicano troppo per questo tour de force che gli abbiamo imposto! Il poco tempo libero che è rimasto lo abbiamo utilizzato per fargli conoscere un po’ Salinas con tutte le sue attività di economia solidaria e anche i suoi luoghi caratteristici, La Mina de Sal, il Museo, La Laguna de los Sueños, ecc… ma soprattutto abbiamo fatto lunghe chiacchierate, condividendo idee, opinioni, progetti, sogni, prendendo coscienza una volta di più dell’importanza di fare le cose in collaborazione, certo se ognuno le fa per conto suo forse ci si complica meno la vita, meno teste da mettere d’accordo, ma anche meno teste che pensano, cercare di unire le forze richiede anche capacità di mediazione, di condividere senza sopraffare l’altra parte, la capacità di mediare le esigenze tenendo conto della sensibilità di tutti. Alla fine, coscienti che non sarà facile, ognuno ha un’idea differente, ma forse più che un’idea a volte sono solo sfumature differenti, ci sembra che uniti si possano fare molte più cose, probabilmente richiederanno uno sforzo maggiore ma dovrebbe valerne la pena, dovrebbe valerne la pena solo pensando che sempre – ma in particolar modo quando pensiamo e operiamo nel mondo missionario – non lo stiamo facendo per noi, noi siamo solo un mezzo per arrivare a costruire un mondo migliore più a dimensione d’uomo. Vi aggiungiamo solo altre due informazioni che riguardano il paese… prima info il “niño” fenomeno atmosferico che sta imperversando in gran parte del paese, compiendo disastri come il maltempo ha fatto in Emilia Romagna. I danni avvenuti qui non sono minimamente paragonabili se li analizziamo in forma assoluta, ma se li guardiamo in forma relativa l’analisi è disastrosa. Immaginiamo che la maggioranza di voi abbia avuto l’opportunità di vedere le immagini di Muisne che ha condiviso Don Giuliano, la parte comunitaria praticamente è andata tutta distrutta o danneggiata gravemente, perse quasi totalmente le strutture di aggregazione, che non sono solo strutture, ma sono principalmente il percorso di formazione di una nuova comunità nata dal nulla dopo una ulteriore catastrofe, il terremoto del 2016. Anche le comunità del nostro SubTropico hanno subito notevoli danni, ponti letteralmente portati via dalla piena, centinaia (e non stiamo esagerando) di frane che bloccano le vie di accesso alle comunità, quando va bene, quando va meno bene frane che si portano via qualche tratto della via stessa. Seconda info il “circo elettorale” sta prendendo corpo e sta cominciando il suo tam-tam, per il momento sono otto i candidati (non male!), tutti ben divisi, ognuno per la sua strada. Anche qui, come d’altronde sempre più spesso si vede ad ogni latitudine e longitudine di questo povero mondo, non si presenta un programma politico, non si illustrano le proposte gli ideali che si vogliono portare avanti, ma ci si concentra a parlar male dell’avversario, si demonizza l’altro per la pochezza che siamo, questo ci sembra il leitmotiv della campagna elettorale in questo momento, speriamo cambino registro. La compagine indigena neanche questa volta riesce a far fronte comune, presentare un unico candidato e portare avanti una campagna unita guardando alle esigenze alle problematiche del mondo indigeno che rappresenta la stragrande maggioranza della popolazione ecuadoregna. Emanuele Scriviamo questa lettera, anche se il periodo non è dei migliori per mettere in ordine idee, pensieri, sentimenti, perché una volta in più ci sembra importante ribadire che non siamo qui a nome nostro. In questi giorni ce lo siamo detti allo sfinimento con Don Gianfranco e Lucia, camminare ognuno per conto suo, magari anche facendo cose bellissime, straordinarie, ha senso, ma non dà un senso completo. Invece camminare fianco a fianco ad altri che hanno lo stesso sentire, sicuramente con sfumature differenti, ma con fondamenti comuni, richiede uno sforzo maggiore, richiede qualche compromesso, richiede che lasciamo da un lato il nostro orgoglio, tutti, tutti indistintamente, altrimenti facciamo la fine dei gruppi indigeni qui in Ecuador, un potenziale immenso buttato nel cesso per l’incapacità di mediare, quindi meglio lasciare da parte qualche interesse personale per un bene comune superiore. La nostra storia personale, la mia in particolare, attraversa decenni di storia del Gruppone, siamo qui in nome e per conto di centinaia di amici che in questi decenni, per tempi più o meno lunghi, sono stati compagni di strada in questo cammino verso gli altri, qualunque essi siano. Siamo inoltre inviati come “Fidei Donum” della Diocesi di Treviso alla Diocesi di Guaranda, non abbiamo una doppia entità, con una giacca differente a seconda dell’ambito in cui operiamo, siamo sempre gli stessi che con tutti i limiti che ci contraddistinguono cerchiamo giorno per giorno di dar corpo a questo sogno di mondo unito nonostante le distanze che ci separano. Come realizzare questa unione tra tutte le entità che operano in diocesi nel mondo missionario non sará semplice, tutto da inventare… tutto da costruire… Ci sarà chi non vorrà neanche sentirne parlare, vorrà difendere “hasta la muerte” la sua autonomia, va bene… si costruirà con chi è disponibile, fondamentale sarà aver chiaro che nonostante le difficoltà, uniti ha un valore aggiunto. Durante l’incontro che abbiamo avuto con il vescovo di Guaranda, Monseñor Hermenegildo Torres, che come al solito è stato molto aperto a qualsiasi forma di collaborazione, di condivisione tra le due diocesi (negli ormai quattro anni che siamo qua è sempre stato un riferimento e un confronto schietto e sincero), anche lui sottolineava, evidenziava, un aspetto che durante l’incontro con la Missione Salesiana era emerso, cioè la “continuità”. C’è bisogno di continuità. Pensiamo al nostro caso… noi siamo inseriti in innumerevoli progetti, ovviamente per noi l’obiettivo è di non essere quelli che tengono in piedi la baracca, senza di noi la baracca deve continuare a stare in piedi, anzi meglio ancora dovrebbe diventare una villa. In alcuni casi sarà possibile, in altri servirà ancora un po’ di accompagnamento, peró prima o poi anche noi rientreremo in Italia. Quando? Non si sa, il più tardi possibile sicuramente, ma come abbiamo visto in questi giorni, non siamo padroni del nostro destino, tutto può cambiare in poche ore, che lo vogliamo o no. Sarebbe bello, sarebbe auspicabile, che dopo la nostra presenza ci fosse una continuità, che non significa solo continuità di progetti (cose materiali), ma anche continuità di relazione, di condivisione, di sogni. Oppure presenza di altri che si affiancano, le necessità qui sono infinite, certo sono infinite anche in Italia, ma ci si può arricchire da entrambi le parti, da una esperienza in missione ci si arricchisce immensamente, e quando si rientra questo tesoro è da condividere, guai tenerlo per sé, sarebbe il fallimento, la disfatta della relazione. Questo riusciremo a farlo con maggior efficacia solo se saremo uniti. È una grande sfida, perché siamo sempre più individualisti, siamo sempre più isolati all’interno del nostro piccolo cortile e se non cerchiamo il confronto con il cortile affianco saremo destinati a disidratarci come le prugne secche. Ma in questo caso i fondamenti che ci muovono dovrebbero essere tutt’altri, e dovrebbero essere quelli che mettono in moto tutto questo processo. Noi abbiamo promesso che ci impegneremo a far sì che questo possa accadere. Anna Volevo ringraziare Don Gianfranco e Lucia per i bei sette giorni trascorsi assieme. E’ stata davvero una bella scoperta! E di norma succede cosí quando arrivano a farci visita dall’Italia. Cosí mi nasce questa riflessione… Ogni anno (bhé in realtá dall’anno scorso!) accogliamo qui da noi volontari italiani per alcuni mesi… gente che conosciamo da una vita o persone che conosciamo appena. Per noi è un onore, un privilegio, un impegno, una scoperta, un arricchimento ogni volta. E ogni volta è anche un “ritornare emotivamente a casa, in Italia” perché ci ritroviamo a convivere con persone con la nostra cultura d’origine… Salvo poi peró, alla fine della loro esperienza in missione, rientrare completamente e da soli nella vita qui in Ecuador. Quindi per noi è come un continuo uscire e rientrare nella “vita missionaria”. Credo sia qualcosa di unico, che solo i missionari in terra straniera possono vivere. Per me è uno dei punti che caratterizzano il missionario all’estero. E’ un punto fondamentale della missione perché ha come obiettivo principale creare ponti, che si spera diventino i piú saldi, duraturi e funzionali possibile. Questo compito è difficile perché ad ogni despedida c’è la fatica a “lasciar andare” e a rientrare nei ritmi quotidiani antecedenti (dove non c’è la presenza dell’amico italiano). Peró spero che ci rimanga sempre questo senso di fatica, di nostalgia, perché significa che abbiamo messo tutto di noi, ci siamo emozionati e molto probabilmente abbiamo emozionato, rendendo UNICA ogni esperienza di scambio. Concludo ringraziando anche Sara e Alison, arrivate a Salinas con noi il 15 agosto scorso e oggi ripartite per l’Italia. Sono stati 10 mesi di condivisione e conoscenza reciproca, terminati con due nuovi “ponti”!… Hasta luego amigas.Un abbraccio a tutti Hasta pronto. Emanuele y Anna
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