23.12.2023
Cari amici, care amiche,
Ormai è più di un mese che cerco le condizioni per scrivervi con calma, ma appena inizio succede qualcosa e io devo mollare tutto, di nuovo.
Se poi aspetto di scrivere insieme a Gian diventa ancora più complicato. Ora ci riprovo, vorrei riuscire a mandarvi due righe prima di Natale. Come già si intuisce, questo per noi è stato ed è un periodo veramente intenso: Leo è arrivato nella nostra famiglia e ha riempito ancora di più le nostre vite! Riempite di nuova tenerezza e dolcezza, della bellezza di tante prime volte, ma anche di tante sfide e tanta stanchezza. Lia da un lato lo adora e lo ricopre di coccole, bacini e carezze, dall’altro lato sente molta gelosia (com’è naturale che sia) e con noi genitori trova tutti i modi per attirare le nostre attenzioni, spingendoci spesso al limite della pazienza. Io, Marghe, dopo il parto sono stata quasi sempre a casa nei primi due mesi per recuperare forze, per prendere i ritmi col piccolo e anche per permettere a lui di crescere e rinforzarsi un pochino; alcune amiche sono venute a trovarmi, ma in genere qui si usa “lasciare tranquille” le mamme per il primo periodo, quindi anche le visite erano abbastanza ridotte. Per me è stata dura non vedere quasi nessuno per molto tempo e non avere tanta libertà di movimento, dato che io sono senza macchina e che il contesto di periferia urbana, per molte condizioni sfavorevoli, rende abbastanza impraticabile la “passeggiatina” fuori col neonato. Adesso che Leo è mais durinho (più duro, forte), come dicono qui, mi muovo di più e ho ripreso ad andare in mcve, felicissima di potermi reinserire in questa realtà e di uscire di casa. In tempo zero sono tornata a farmi coinvolgere dalle storie dei bimbi e delle loro famiglie e ad ascoltarle ho provato un forte disagio, misto a tristezza e impotenza. Avevo infatti approfittato del tempo a casa per leggere libri e articoli di psicologia e pedagogia e sentivo che aver rispolverato tematiche come l’educazione affettiva infantile, la condizione materna, la discriminazione di genere mi avrebbe aiutata a mettermi nuovamente a servizio dei progetti in maniera più competente e consapevole. Ma poi ascoltando le educatrici mi sono resa conto ancora una volta che ci sono situazioni in cui tutto questo serve a poco. Quando accade che un bambino di quattro anni si sente responsabile della casa e veglia tutta la notte davanti alla porta perché la mamma, sotto effetto della droga, l’aveva lasciata aperta… O quando succede che un papà strappa dalle mani della sua bambina di cinque anni la bambola nuova che le è stata regalata alla Festa das crianças solo il giorno prima, uscendo in strada con la bimba che lo segue in lacrime per venderla ed avere quindi dei soldi per comprarsi la droga. Ecco, quando la realtà che le famiglie vivono è questa, non servono tanti discorsi o tante teorie psico-pedagogiche bisogna partire da molto prima dall’umanitá che per qualche motivo è stata ferita, violata. Cresce ogni giorno la nostra ammirazione per gli educatori e le educatrici dell’mcve che raccolgono queste sfide e che magari sono partiti, nella loro vita, da condizioni molto simili e sono riusciti a trasformare il dolore e le ferite in forza promotrice di cambiamento per sé, per gli altri e per la società. Questa forza ci provoca tanto, questa capacità di reinventarsi tirandosi su le maniche, emancipandosi senza mai perdere di vista il proprio punto di partenza, mettendosi di nuovo a servizio degli ultimi. Ci provoca perché stare a fianco degli ultimi e camminare con loro è molto poetico nei discorsi, ma da vivere è difficilissimo: ti mette a contatto con la tua povertà, coi tuoi numerosi limiti, con le tue paure, le tue insicurezze, le certezze in cui ti rifugi che a volte sono prigioni. Noi siamo via da poco più di un anno e stiamo lottando con tutto questo, con la difficoltà di adattarci a un contesto tanto diverso dal nostro e forse ancora di più con la difficoltà enorme di scoprirci ancora più piccoli di quello che pensavamo di essere. Pensavamo di contribuire un pochino al miglioramento di questo contesto e invece succede che la sfida più grande di molte giornate è quella di arrivare a sera e mettere a letto i bimbi senza perdere troppo la pazienza e senza scannarci tra di noi facendo a gara a chi è più stanco. E alla fine, quando pensiamo che non stiamo facendo proprio niente, qualcuno ci dice che siamo un dono, che siamo “portatori di luce”, che la nostra presenza sola porta trasformazione… e allora capiamo che c’è qualcosa o Qualcuno che va veramente oltre le piccolezze individuali, che moltiplica quei miseri cinque pani che timidamente vengono offerti per essere condivisi. Adesso qui con noi c’è Stefano, un grande amico nonché il padrino di Lia, che ha deciso di farci visita e di rimanere qui per due mesi. Ci sta aiutando molto a casa, ma ci segue anche nei progetti e sta conoscendo un po’ l’mcve. Dice di essere felice di poter finalmente dare un volto alle persone e ai luoghi di cui ha sentito molto parlare, siamo sicuri che questa esperienza gli arriverà nel cuore. Per noi è una gioia condividere con lui un po’ della nostra vita amazzonica e ancor di più averlo qui durante le feste natalizie a portarci un pezzetto di Casa. Le attività dell’mcve stanno volgendo al termine per quest’anno: pian piano i progetti stanno facendo le festine di chiusura per salutare i bambini, che verranno riaccolti a marzo dell’anno prossimo. Gennaio sarà mese di chiusura e di ferie, mentre febbraio sarà di programmazione e preparazione per la riapertura. C’è una novità: padre Pedro, attuale presidente dell’mcve e parroco della nostra area missionaria, a fine gennaio diventerà rettore del seminario di Manaus e qui arriverà un altro sacerdote. Bisognerà capire chi assumerà la presidenza del Movimento, di certo questo cambiamento avrà un impatto, piccolo o grande, sulla vita dell’area missionaria e sul Movimento. Vedremo… Noi ci stavamo organizzando per andare in Roraima a gennaio a trovare gli altri missionari della diocesi di Treviso: Giorgio, Cristina e don Edy. Ma proprio mentre scrivevo questa mail ci ha raggiunto la tragica e inaspettata notizia: don Edy stamattina è venuto a mancare per un infarto fulminante. Siamo sconvolti, dispiaciuti e tristi per la sua perdita (lo conoscevamo poco, ma avevamo condiviso momenti importanti con lui in preparazione alla missione), anche impauriti di fronte a un evento che ci rammenta quanto la vita sia appesa ad un filo. Noi occidentali troppe volte, forse, rimuoviamo questa consapevolezza illudendoci di essere invincibili. O almeno questa cosa accade a me, senza dover per forza generalizzare… Concludo questa mail un tantino disordinata con i nostri più sentiti auguri di Buon Natale, prendendo in prestito le parole di Dom Helder Câmara: “Mi piace pensare al Natale come ad un atto di sovversione… Un bambino povero, una ragazza madre, un papá adottivo… Chi assiste alla sua nascita è gente messa ai margini della societá, i pastori. Riceve doni da persone di “altre religioni”. La sua famiglia deve fuggire e cosí diventa un rifugiato politico, un profugo. Poi ritornano, e vanno a vivere in periferia. Il resto della storia noi la celebriamo nella Pasqua…ma con lo stesso carattere sovversivo. La rivoluzione verrá dai poveri. Solo da loro potrá venire la salvezza.” Facciamoci sempre provocare da Gesù, che è venuto al mondo in modo sovversivo per risvegliare le nostre coscienze, per renderci tutti più umani. Vi abbracciamo forte forte, ci mancate. Marghe, Gian, Lia e Leo
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